Vorrei dar voce ad una riflessione che riguarda l’Italia.
Prendiamo in considerazione l’economia globale. E’ piuttosto facile sostenere che gli ultimi anni hanno visto una forte crescita (del PIL, come si dice), in un contesto di relativa pace (almeno tra le super potenze). I redditi sono mediamente aumentati piu’ che proporzionalmente e il benessere mondiale e’ accompagnato da una produzione senza pari. Gli USA, la Cina, la Bran Bretagna, il Canada sono tra i paesi che, avendo il peso maggiore all’interno delle relazioni internazioni, stanno vivendo un periodo di forte espansione. In genere, anche in altri continenti si vive una fase di proserita’ (relativa). Questo, meglio precisarlo per evitare polemiche, di media. Il mondo, come media di tutti i paesi, sta crescendo piu’ ora che nel passato.
Tra i paesi manca pero’ l’Europa. Nonostante l’Eurpoa rappresenti, in termini di potenza, la terza o quarta forza economica, tuttavia la sua crescita e’ tenue, quasi impercettebile. Tra questi paesi l’Italia sono quelli che sta performando peggio. E’ vero che recentemente l’Europa in generale si sta riprendendo (ma anche il peggior gelataio della citta’ vede aumentare le proprie vendite quando il caldo aumenta e la gente diventa piu’ ricca e compra piu’ gelati – un po’ come come dire che l’Eurpa sta vivendo al traino degli altri paesi a crescita piu’ forte) e gli USA stanno patendo lo scotto del sub-prime market e dell’innalzamento degli spread sulle aziende, ma, se escludiamo gli ultmi due mesi, il trend mi pare abbastanza chiaro e visibile.
Sicuramente i motivi sono tra i piu’ vari e non e’ facile ricondurre il tutto al semplice nesso causa-effetto. Interdipendenze e strutturalita’ mettono a dura prova i tentativi di ricondurre il il divario a ben determinati fattori: ritengo tuttavia che una parte di questa mancanza di slancio e accelerazione europea sia legata alla poca flessibilita’ del mercato del lavoro e al peso sociale dello stato. Lo osservo considerando le differenze tra Italia e Gran Bretagna: non sono un esperto e quindi non vorrei essere incorretto ma in termini di trattamento del lavoratore e dei diritti/doveri, in termini di flessibilita’ (di prospettive, di crescita aziendale, di orari di lavoro), in termini di potere contrattuale, di mobilita’ del lavoro stesso osservo differenze abissali. In Stati piu’ liberali, come USA e GB (senza per questo, sia chiaro, prenderne le difese) i diritti sono quelli “minimi” (minimi, chiaramente, all’occhio del legislatore, non certo del lavoratore) e il resto viene “lasciato” al lavoratore. Minimi giorni di ferie, minima licenza post-parto, minimi contributi pensionistici, solo per citare qualche esempio. D’altro canto vegono date opportunita’ che a malapena ritrovo in Italia: diritto ad una carriera, diritto a cambiare lavoro (diritto a trovarne uno, in primis), diritto alla flessibilita’, diritto alla crescita, diritto alla remunerazione legata al risultato.
Mi pare che la qualita’ della vita in Italia sia nettamente piu’ alta che in altri paesi (se non altro per il sole) e ci sono piu’ garanzie a tutela del lavoratore (magari non per i temporanei) e della famiglia. Si lavora meno e si vive meglio. Mica male, vero?
Purtroppo, e spero di sbagliarmi, vedo il rischio di una caduta economica difficile da trasformare in slancio. In una situazione dove l’economia globale gira (provocatoriamente apro le porte a critiche) resto un po’ allarmato ad osservare le difficolta’ che alcuni dei paesi europei si trovano ad affrontare. Non vedo in Italia quella crescita che prevederei normale in un contesto internazionale come quello odierno, non vedo flessibilita’, non vedo opportunita’ di rimboccarsi le maniche e lavorare, non vedo stimoli per gente con idee. Vedo invece un paese di vivacchia alla meno peggio, che vive di bricciole di altri, che non ha la forza per sfidare il mercato ma solo per adagiarsi al mercato. Peccato. Speriamo che qualcosa presto cambi presto.
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