Ho cercato di convincermi che lasciare delle persone non e' la cosa peggiore che puoi fare loro. Puo' risultare triste, ma non deve obbligatioriamente essere una tragedia. Se non si lasciasse niente o nessuno non ci sarebbe spazio per il nuovo. Naturalmente andare avanti e' un'infedelta' verso gli altri, verso il passato, verso la nozione di se stessi. Forse ogni giorno dovrebbe prevedere almeno un'infedelta' essenziale o un tradimento necessario. Sarebbe un atto ottimista, un atto di speranza, che garantisce fiducia nel futuro, la prova che le cose possono essere non solo differenti, ma migliori.
29 settembre 2007
20 settembre 2007
Red Rubber Ball
Each day is a chance to re-commit to your red rubber ball.
Each day is a chance to find teachers and hear them out.
Each day is a chance to look for something unexpected.
Each day offers 86.400 fresh opportunities to work out your creative muscle, to prepare to shine and to speak up.
Run after your red rubber ball today and every day, it will became your future.
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10 settembre 2007
Ai miei amici
Si dice che chi trova un amico trova un tesoro. Ed e' a lui che mi rivolgo.
Grazie. Grazie per esserci. Grazie a tutti gli amici.
So benissimo che siete qui vicino a me e lo sareste anche senza un grazie. So che l’amicizia e basata proprio sull’aiuto e la gioia dell’aiuto dato nel momento del bisogno, soprattutto quando l’aiuto non e’ ne’ richiesto ne’ sperato. E’ un conto che finisce sempre a zero, non ci sono creditori ne’ debitori. Lo so.
Nonostante sia scontato, nonostante sia naturale, nonostante non sia necessario, nonostante tutto, lasciatemi urlare al mondo il mio grazie.
Grazie. Grazie per esserci. Grazie a tutti gli amici.
So benissimo che siete qui vicino a me e lo sareste anche senza un grazie. So che l’amicizia e basata proprio sull’aiuto e la gioia dell’aiuto dato nel momento del bisogno, soprattutto quando l’aiuto non e’ ne’ richiesto ne’ sperato. E’ un conto che finisce sempre a zero, non ci sono creditori ne’ debitori. Lo so.
Nonostante sia scontato, nonostante sia naturale, nonostante non sia necessario, nonostante tutto, lasciatemi urlare al mondo il mio grazie.
L'Italia
Vorrei dar voce ad una riflessione che riguarda l’Italia.
Prendiamo in considerazione l’economia globale. E’ piuttosto facile sostenere che gli ultimi anni hanno visto una forte crescita (del PIL, come si dice), in un contesto di relativa pace (almeno tra le super potenze). I redditi sono mediamente aumentati piu’ che proporzionalmente e il benessere mondiale e’ accompagnato da una produzione senza pari. Gli USA, la Cina, la Bran Bretagna, il Canada sono tra i paesi che, avendo il peso maggiore all’interno delle relazioni internazioni, stanno vivendo un periodo di forte espansione. In genere, anche in altri continenti si vive una fase di proserita’ (relativa). Questo, meglio precisarlo per evitare polemiche, di media. Il mondo, come media di tutti i paesi, sta crescendo piu’ ora che nel passato.
Tra i paesi manca pero’ l’Europa. Nonostante l’Eurpoa rappresenti, in termini di potenza, la terza o quarta forza economica, tuttavia la sua crescita e’ tenue, quasi impercettebile. Tra questi paesi l’Italia sono quelli che sta performando peggio. E’ vero che recentemente l’Europa in generale si sta riprendendo (ma anche il peggior gelataio della citta’ vede aumentare le proprie vendite quando il caldo aumenta e la gente diventa piu’ ricca e compra piu’ gelati – un po’ come come dire che l’Eurpa sta vivendo al traino degli altri paesi a crescita piu’ forte) e gli USA stanno patendo lo scotto del sub-prime market e dell’innalzamento degli spread sulle aziende, ma, se escludiamo gli ultmi due mesi, il trend mi pare abbastanza chiaro e visibile.
Sicuramente i motivi sono tra i piu’ vari e non e’ facile ricondurre il tutto al semplice nesso causa-effetto. Interdipendenze e strutturalita’ mettono a dura prova i tentativi di ricondurre il il divario a ben determinati fattori: ritengo tuttavia che una parte di questa mancanza di slancio e accelerazione europea sia legata alla poca flessibilita’ del mercato del lavoro e al peso sociale dello stato. Lo osservo considerando le differenze tra Italia e Gran Bretagna: non sono un esperto e quindi non vorrei essere incorretto ma in termini di trattamento del lavoratore e dei diritti/doveri, in termini di flessibilita’ (di prospettive, di crescita aziendale, di orari di lavoro), in termini di potere contrattuale, di mobilita’ del lavoro stesso osservo differenze abissali. In Stati piu’ liberali, come USA e GB (senza per questo, sia chiaro, prenderne le difese) i diritti sono quelli “minimi” (minimi, chiaramente, all’occhio del legislatore, non certo del lavoratore) e il resto viene “lasciato” al lavoratore. Minimi giorni di ferie, minima licenza post-parto, minimi contributi pensionistici, solo per citare qualche esempio. D’altro canto vegono date opportunita’ che a malapena ritrovo in Italia: diritto ad una carriera, diritto a cambiare lavoro (diritto a trovarne uno, in primis), diritto alla flessibilita’, diritto alla crescita, diritto alla remunerazione legata al risultato.
Mi pare che la qualita’ della vita in Italia sia nettamente piu’ alta che in altri paesi (se non altro per il sole) e ci sono piu’ garanzie a tutela del lavoratore (magari non per i temporanei) e della famiglia. Si lavora meno e si vive meglio. Mica male, vero?
Purtroppo, e spero di sbagliarmi, vedo il rischio di una caduta economica difficile da trasformare in slancio. In una situazione dove l’economia globale gira (provocatoriamente apro le porte a critiche) resto un po’ allarmato ad osservare le difficolta’ che alcuni dei paesi europei si trovano ad affrontare. Non vedo in Italia quella crescita che prevederei normale in un contesto internazionale come quello odierno, non vedo flessibilita’, non vedo opportunita’ di rimboccarsi le maniche e lavorare, non vedo stimoli per gente con idee. Vedo invece un paese di vivacchia alla meno peggio, che vive di bricciole di altri, che non ha la forza per sfidare il mercato ma solo per adagiarsi al mercato. Peccato. Speriamo che qualcosa presto cambi presto.
Prendiamo in considerazione l’economia globale. E’ piuttosto facile sostenere che gli ultimi anni hanno visto una forte crescita (del PIL, come si dice), in un contesto di relativa pace (almeno tra le super potenze). I redditi sono mediamente aumentati piu’ che proporzionalmente e il benessere mondiale e’ accompagnato da una produzione senza pari. Gli USA, la Cina, la Bran Bretagna, il Canada sono tra i paesi che, avendo il peso maggiore all’interno delle relazioni internazioni, stanno vivendo un periodo di forte espansione. In genere, anche in altri continenti si vive una fase di proserita’ (relativa). Questo, meglio precisarlo per evitare polemiche, di media. Il mondo, come media di tutti i paesi, sta crescendo piu’ ora che nel passato.
Tra i paesi manca pero’ l’Europa. Nonostante l’Eurpoa rappresenti, in termini di potenza, la terza o quarta forza economica, tuttavia la sua crescita e’ tenue, quasi impercettebile. Tra questi paesi l’Italia sono quelli che sta performando peggio. E’ vero che recentemente l’Europa in generale si sta riprendendo (ma anche il peggior gelataio della citta’ vede aumentare le proprie vendite quando il caldo aumenta e la gente diventa piu’ ricca e compra piu’ gelati – un po’ come come dire che l’Eurpa sta vivendo al traino degli altri paesi a crescita piu’ forte) e gli USA stanno patendo lo scotto del sub-prime market e dell’innalzamento degli spread sulle aziende, ma, se escludiamo gli ultmi due mesi, il trend mi pare abbastanza chiaro e visibile.
Sicuramente i motivi sono tra i piu’ vari e non e’ facile ricondurre il tutto al semplice nesso causa-effetto. Interdipendenze e strutturalita’ mettono a dura prova i tentativi di ricondurre il il divario a ben determinati fattori: ritengo tuttavia che una parte di questa mancanza di slancio e accelerazione europea sia legata alla poca flessibilita’ del mercato del lavoro e al peso sociale dello stato. Lo osservo considerando le differenze tra Italia e Gran Bretagna: non sono un esperto e quindi non vorrei essere incorretto ma in termini di trattamento del lavoratore e dei diritti/doveri, in termini di flessibilita’ (di prospettive, di crescita aziendale, di orari di lavoro), in termini di potere contrattuale, di mobilita’ del lavoro stesso osservo differenze abissali. In Stati piu’ liberali, come USA e GB (senza per questo, sia chiaro, prenderne le difese) i diritti sono quelli “minimi” (minimi, chiaramente, all’occhio del legislatore, non certo del lavoratore) e il resto viene “lasciato” al lavoratore. Minimi giorni di ferie, minima licenza post-parto, minimi contributi pensionistici, solo per citare qualche esempio. D’altro canto vegono date opportunita’ che a malapena ritrovo in Italia: diritto ad una carriera, diritto a cambiare lavoro (diritto a trovarne uno, in primis), diritto alla flessibilita’, diritto alla crescita, diritto alla remunerazione legata al risultato.
Mi pare che la qualita’ della vita in Italia sia nettamente piu’ alta che in altri paesi (se non altro per il sole) e ci sono piu’ garanzie a tutela del lavoratore (magari non per i temporanei) e della famiglia. Si lavora meno e si vive meglio. Mica male, vero?
Purtroppo, e spero di sbagliarmi, vedo il rischio di una caduta economica difficile da trasformare in slancio. In una situazione dove l’economia globale gira (provocatoriamente apro le porte a critiche) resto un po’ allarmato ad osservare le difficolta’ che alcuni dei paesi europei si trovano ad affrontare. Non vedo in Italia quella crescita che prevederei normale in un contesto internazionale come quello odierno, non vedo flessibilita’, non vedo opportunita’ di rimboccarsi le maniche e lavorare, non vedo stimoli per gente con idee. Vedo invece un paese di vivacchia alla meno peggio, che vive di bricciole di altri, che non ha la forza per sfidare il mercato ma solo per adagiarsi al mercato. Peccato. Speriamo che qualcosa presto cambi presto.
7 settembre 2007
A man's mind
"The breath and then depth of a man's mind is in direct proportion to the extent of his curiosity"
4 settembre 2007
L'essenziale e' invisibile agli occhi

[...] "No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire 'addomesticare'?" "E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire 'creare dei legami'?..." "Creare dei legami?" "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo". "Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'e' un fiore... credo che mi abbia addomesticato..." "E' possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..." "Oh! non e' sulla Terra", disse il piccolo principe. La volpe sembro' perplessa: "Su un altro pianeta?" "Si" "Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?" "No". "Questo mi interessa. E delle galline?" "No". "Non c'e' niente di perfetto", sospiro' la volpe. Ma la volpe ritorno' alla sua idea: "La mia vita e' monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio percio'. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sara' illuminata. Conoscero' un rumore di passi che sara' diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi fara' uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu' in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e' inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e' triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sara' meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e' dorato, mi fara' pensare a te. E amero' il rumore del vento nel grano..." La volpe tacque e guardo' a lungo il piccolo principe: "Per favore... addomesticami", disse. "Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, pero'. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose". "Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno piu' tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose gia' fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno piu' amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" "Che cosa bisogna fare?" domando' il piccolo principe. "Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. [...]Cosi' il piccolo principe addomestico' la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!" disse la volpe, "... piangero'". "La colpa e' tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..." "E' vero", disse la volpe. "Ma piangerai!" disse il piccolo principe. "E' certo", disse la volpe. "Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano". Poi soggiunse: "Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto". Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose. "Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo". E le rose erano a disagio. "Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa". E ritorno' dalla volpe. "Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi". "L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo. "E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante". "E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo. "Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..." "Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo.
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano". Poi soggiunse: "Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua e' unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalero' un segreto". Il piccolo principe se ne ando' a rivedere le rose. "Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora e' per me unica al mondo". E le rose erano a disagio. "Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, e' piu' importante di tutte voi, perche' e' lei che ho innaffiata. Perche' e' lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perche' e' lei che ho riparata col paravento. Perche' su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perche' e' lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perche' e' la mia rosa". E ritorno' dalla volpe. "Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi". "L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripete' il piccolo principe, per ricordarselo. "E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi' importante". "E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurro' il piccolo principe per ricordarselo. "Gli uomini hanno dimenticato questa verita'. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..." "Io sono responsabile della mia rosa..." ripete' il piccolo principe per ricordarselo.
3 settembre 2007
Latitudine e Longitudine
Immaginate di essere in un’isola deserta ma di non sapere in quale punto dello sperduto mare vi trovate. Immaginate anche di aver trovato uno scrignio con un tesoro e il tesoro contiene un sestante, un cronometro, le effemeridi, un po di carta e una matita. "Che culo!" direte. Ma oltre ad imprecare per la vostra condizione di Robinson Crusoe (senza Venerdi') in un’isola deserta potete anche cercare di capire dove siete scoprendo la vostra latitudine (quanto a nord / sud rispetto l’equatore siete) e longitudine (est / ovest rispetto un meridiano di riferiemento).
La latitudine si trova abbastanza facilmente. Dall’altezza del sole a mezzogiorno (tramite le rette di altezza) o dalla posizione delle stelle nel cielo. Per le stelle in cielo cerco di fare un esempio semplice: la stella polare indica il nord (e lo indichera' per altri anni ancora). Se siete gia’ al polo nord la stella polare sara' sulla vostra testa mentre se siete all’equatore la stella polare sara’ all’orizzonte. Quindi dalla sua altezza (o angolo) rispetto l’equatore potete calcolare quanto a nord siete rispetto l’equatore. Per fare questo basta il sestante (e' lo strumento che calcola l'angolo tra l'orizzonte e il punto osservato).
Per la longitudine il problema e’ leggermente piu’ complesso. Sarebbe facile se si sapesse l’ora in un punto di riferimento e nel luogo in cui si e’. La differenza di tempo rappresenta infatti la differenza di longitudine dal punto di riferimento. Altro esempio: se sapessi che a Napoli sono le 2 e 30 di pomeriggio e che nell’isola e’ mezzogiorno (l’ombra e’ la piu’ corta della giornata) allora so che il sole ci mettera’ 2h e 30min a raggiungere l'isola e sapendo che ce ne mette 24 a girare attorno alla terra (per fare 360 gradi) vorra’ dire che sono a 2.5/24 di 360 gradi, cioe’ 37 gradi a ovest di Napoli (quindi mi trovo circa alla stessa longitudine delle Azzorre). Non e’ molto intuitivo ma se ci fate caso l’unica differenza tra, per esempio, Napoli e New York e' la differenza di tempo (si si va bene, e tutto il resto). Ma se sapeste di essere su quella latitudine, non sapeste di essere a New York e pero' sapeste che tra Napoli e voi ci fossero 135 gradi verso ovest (o 9 ore di differenza) allora scoprireste di essere a New York (potreste obiettare che basterebbe guardare fuori dalla finestre per capire se siete a Napoli o New York. Giusto, e sarebbe anche piu' semplice piuttosto che fare tutti questi calcoli).
Il mondo ha deciso di far partire il meridiano fondamentale da Greenwich, in Inghilterra. Se quel benedetto orologio che abbiamo trovato nello scrignio segnasse l’ora di Greenwich allora potrei sapere quanto ad est o ovest mi trovo rispetto Greenwich! Figo! E potrei sapere sempre dove sono in ogni istante. Basta avere questi strumenti. Che poi questo sia assolutamente inutile perche' siete in un'isola deserta e non sapete che farvene della posizione visto che comunque morirete di fame o cannibalizzati o trucidati... beh... questa e' un'altra storia....
Oggi, molto piu' semplicemente si puo' fare tutto avendo solo un GPS. Lo strumento vi dira' in ogni istante dove siete sulla terra con una precisione di qualche decina di metri e non necessita di altro che di batterie caricabatterie.
Ma se pensate al passato, a tutto quello che precede il 1750, alle navigazioni commericali, alla scoperta dei continenti, ai viaggi oceanici, alla scoperta di nuovi mondi, il tutto veniva fatto senza conoscere la longitudine. Mancando un orologio preciso e pratico (un orologio a pendolo a bordo dei vascelli non era molto utile) non era possibile calcolare la longitudine. Si navigava, si fa per dire, "a naso".
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