Immaginate che vi piaccia andare a vela ( ecchecavolO! ve la siete sempre cavata in mediterraneo!) e che decidiate di comperare una barca in Inghilterra. Iniziate a veleggiare ma sapete che il mare del nord e’ molto pericoloso quindi lo rispettate al pari delle cose che si temono. Immaginate poi di farvi prendere la mano e di iscrivervi alla prima regata in doppio (si, voi e un amico) con la vostra barca. Ora la cosa si complica. E’ la prima volta in assoluto che uscite con questo amico ed e’ la prima regata in doppio fatta con la vostra barca ed e’ anche la regata piu’ lunga mai fatta: 230 miglia nel bel mezzo del canale della manica. Chiaramente non avete velleita’ di successo, solo voglia di completare quella che per voi e’ forse la sfida piu’ grande mai affrontata finora: emulare tanti velisti esperti navigando in mezzo alle correnti, alle linee di traffico commerciale, in zone di mare per nulla conosciute e per tempi cosi’ lunghi che non avevate mai sperimentato prima. La fiducia vi guida, la coscienza della pericolosita’ della cosa sopprime l'entusiamo dell'evento.
Vi avvinate alla linea di partenza, vi girate intorno nell’attesa del via, circandati da circa 50 barche. Un bello spettacolo. Poi vi accorgete che la randa, la vela piu’ grande, ha un taglio in mezzo, bello visible. Uno sbrago, una ferita, uno strappo. La testardaggine, la stessa testardaggine che amici e parenti amano ricordare ad ogni occasione, vi permette pero’ di mantenere il sangue freddo, di partire, di ammainare la vela, di ripararala a mano e issarla nuovamente. Felici, vi concentrate nuovamente sulla regata. Immaginate poi che il vento e’ leggero, cosi’ leggero che la corrente vi trascina la barca in mezzo alle secche dei needles (uno dei punti piu’ pericolosi del solent) senza che possiate fare niente, sfiorando di 20 centimetri il fondale con la vostra deriva. Che culo!
Immaginate anche, durante la regata, che la vela continui a rompersi e dovete ripararla un’ altra volta (grazie alla fantasia e senso pratico dell’amico) e arrivate dopo 33 ore di navigazione (cioe’ dopo una notte compelta in mare). Aspettate, non esaltatevi. Non siete arrivati all’arrivo, semplicmeente la faro di Eddystone, che segnala la meta’ del percorso. Ora infatti dovete rifare a ritroso lo stesso percorso.
Immaginate che a quel punto che il motore, finora andato bene, ha deciso di non funzionare e vi lascia cosi’ senza cavalli. E senza possibilita’ di ricaricare le batterie. Poco male, dite. Spegnete tutti gli strumenti e continuate a navigare per altri 2 giorni, in venti leggeri leggeri, cosi’ leggeri che a volte dopo 4 ore non siete avanzati per nulla perche’ nel frattempo la corrente vi ha spinto indietro. In tutto dormite una media di 5 ore a notte, dormite vestiti di tutto punto, al freddo e non vi lavate, ne’ potete comunicare con I vostri cari. Intanto la linea di arrivo si avvicina, siete a 10 / 15 miglia, ma inizia a fare buio, non conoscete la zona dell’arrivo. Non vedete l'ora di finire questa fatica immane. Dalla carta nautica notate che la zona di arrivo e’ piena di fondali bassi, segnalamenti luminosi e che la corrente potrebbe giocarvi brutti scherzi. In quel preciso istante, mentre pensate che forse questo e’ un po’ troppo per voi, stanchi e poco reattivi, inizia ad aumentare il vento in maniera scontante. Non e’ possible! Dopo circa 66 ore e la terza notte fuori non posso fermarmi causa il vento pazzerello che cosi' tanto mi ha fatto soffrire in questi 3 gironi! Devo arrivare. Con mille patemi e ansie riuscite a districarvi tra le difficolta’ e tra le acque basse e riuscite a tagliare la linea del traguardo ma notate che non c’e’ la barca giuria e che la luce gialla lampeggiante che voi pensavate fosse la barca giuria e’ in realta’ un faro che sta a segnalarvi la terra. Immaginate a quel punto che capiate che state esagerando con voi stessi e che forse non e’ il caso di continuare a prendere rischi e navigare in quelle acque pericolose, basse (5 metri di fondale), con corrente, vento rafficato che rende la barca poco governable, il tuto al buio. Decidete allora (saggiamente?) di dare ancora e fermarvi per il resto della notte in rada.
Immaginate che, quando decidete di dare ancora qualcosa va storto (legge di marphy?) e che la catena e l’ancora girano sotto la deriva impediscono alla barca di mettersi prua al vento. Cosa piu’ unica che rara la barca decide invece di mettersi con la poppa al vento, esponendo cosi’ il timone alle onde. E infatti per tutta la notte lo scafo batte contro le onde, tanto che temete che il timone possa rompersi.
Immaginate che, sfiniti dalla notte in bianco passata a verificare che l’ancora abbia tenuto e a pregare chi di dovere di essere clemente, decidiate che non c’e’ piu’ modo di rientrare in porto, ne’ di uscire da questa situazione di empasse visto che non avete il motore. Allora chiamate aiuto.
Imamginate tutto questo.
Tornereste in barca?