Qualcuno lo ha definito un paese romantico. Io non so bene se il Laos si possa definire romantico. Di certo pero’ mette tenerezza. Non che ci abbia vissuto, ne’ che ci abbia passato molto tempo, ma pochi giorni dopo la caotica Thailandia e prima del vivace Vietnam sono bastati per assaporare questo paese. Dal primo istante dopo il confine, passato il ponte di Nong –Khai (unico ponte in Laos, vedi post) ci si accorge di essere in una terra che lascia basiti. Dal confine non ci sono autobus di linea, ne’ treni. Niente viaggi organizzati. Solo poveri taxisti che con i loro tuk-tuk cercano di arrivare a sera. Gli autobus? Guardatevi i film italiani degli anni ’30 e se vedete degli autobus, molto probabilemnte questi sono piu’ simili agli autobus laotiani che gli autobus odierni. Scordatevi l’aria condizionata, i finistrini chiusi, i sedili puliti. L’aria e’ polverosa, come lo solo le principali strade (no cemento, solo terra battuta), i sedili di plastica e chi arriva tardi si siede sulle seggioline di plastica sistemate sul corridoio per l'occasione. Altro che cinture, legge sulla sicurezza, 626 o menate del genere. Dimenticavo. Al sotto i sedili, in mezzo, ovunque, grossi pacchi di merce (patate? Riso?) riempiono buchi e spazi, tanto che il viaggio si trasforma in un odissea: scomodi, seduti pericolosamente su sedili pericolanti, correndo su strade sterrate, ricoperti dalla polvere rossa sollevate dai mezzi che precedono o che ci vengono incontro, fatica a respirare per la polvere, il caldo e i sobbalzi del terreno. I tempi di percorrenza? Una media dei 50 KM all’ora quando va bene. Partenze ritardate di ore, senza apparente giustificazione e senza che nessuno si irriti.
La vita in Laos scorre lenta. Come poteva essere in Italia diversi decenni fa’. Non si sa quando si parte, non si sa quando si arriva a destinazione. Non c’e’ fretta, c’e’ sempre tempo per un sorriso, per uno sguardo alla rigogliosa vegetazione. Non c’e’ l’ansia di arrivare. La vita scorre lenta, al ritmo del fruscio delle palme. Scorre felice. Si vive con quello che la natura produce. Pollo, riso, bambu’, banane sono su tutte le bancarelle, su tutti i piatti. I bambini giocano allegramente con foglie di piante, vivono in case fatte di bambu’, pavimenti fatti di terra rossa, cucine che guarderemmo con ribrezzo e con la TV. Probabilmente la popolazione non ha scelto questa vita, probabilmente e’ stata costretta dal regime ad adattarsi. Forse loro, i laotiani ci vedono come i ricchi, piu’ agiati. E lo siamo. Ma siamo anche piu’ felici? Nei piccoli paesini (per noi, metropoli per i laotiani) mancano in molti punti le luci sulle strade, mancano i marciapiedi, mancano i semafori. Insomma, mancano molte delle cose che oggi consideriamo fondamentali. La cosa curiosa o tragica, dipende dai casi, e’ che il Laos non vuole cambiare. Sara’ per via del regime ma il Laos aberra l’ammodernamento, la tecnologia, il progresso. Forse e’ davvero il paese dei sognatori. Il paese di chi sogna un mondo libero da legami, un mondo essenziale. A chiederlo anche loro vorrebbero la tecnologia, benessere, i soldi per i viaggi, per ingrassare, per vivere meglio. Il dio denaro sarebbe il loro Dio se solo potessero scegliere. Ma per fortuna o putroppo non possono. Siamo sicuri, pero', che sia un male?